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  • Shock cardiogeno

Una sindrome complessa e pericolosa per la vita

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  • 4 minute read

Nonostante i notevoli progressi nella medicina cardiovascolare e nella terapia intensiva, lo shock cardiogeno rimane una delle complicazioni più gravi delle malattie cardiache acute. Questa condizione pericolosa per la vita è caratterizzata da un’inadeguata perfusione degli organi dovuta a una gittata cardiaca insufficiente.

(rosso) Nonostante i miglioramenti nell’assistenza, in particolare per i pazienti con infarto miocardico acuto (IMA), il tasso di mortalità è ancora intorno al 40-50%. Ciò sottolinea l’urgente necessità di sviluppare nuovi concetti terapeutici e di ottimizzare gli approcci esistenti, al fine di migliorare in modo sostenibile sia il tasso di sopravvivenza che la qualità di vita delle persone colpite.

Definizione e sottotipi

La definizione di shock cardiogeno è stata perfezionata negli ultimi anni, in particolare grazie al lavoro dello Shock Academic Research Consortium (SHARC), che ha formulato criteri per una diagnosi standardizzata. Le caratteristiche importanti sono una pressione arteriosa sistolica inferiore a 90 mmHg per almeno 30 minuti, la necessità di vasopressori o sistemi di supporto meccanico e l’evidenza clinica e di laboratorio di ipoperfusione sistemica. Di particolare importanza è la classificazione della malattia in sottotipi, che si differenziano in base alla causa principale (ad esempio, IMA, insufficienza cardiaca o complicazioni meccaniche) e alla disfunzione emodinamica predominante (ventricolare sinistra, ventricolare destra o biventricolare). Questo approccio differenziato consente un trattamento più personalizzato e una migliore valutazione della prognosi. Anche la classificazione della Society for Cardiovascular Angiography and Interventions (SCAI), aggiornata nel 2022, offre una categorizzazione basata su stadi che vanno da A (a rischio) a E (condizione estrema). Questo non solo ha migliorato la comunicazione clinica, ma ha anche posto le basi per la stratificazione del rischio e la pianificazione delle misure terapeutiche.

Eziologia ed epidemiologia

Le cause dello shock cardiogeno sono diverse e cambiano con i progressi nel trattamento dell’infarto miocardico acuto. Mentre la percentuale di shock correlato all’infarto sta diminuendo, altre cause stanno guadagnando importanza, tra cui l’insufficienza cardiaca acuta e cronica, le complicazioni post-cardiotomiche e l’embolia polmonare massiva. Anche le cause più rare, come le cardiomiopatie peripartum, le malattie infiammatorie del miocardio e le valvulopatie gravi, stanno diventando sempre più importanti. La rapida identificazione della causa sottostante è particolarmente critica, in quanto influisce in modo decisivo sulla scelta della terapia.

Fisiopatologia

Lo shock cardiogeno si basa sull’incapacità del cuore di mantenere un volume di corsa sufficiente nonostante un precarico adeguato. Questo porta all’ipoperfusione degli organi vitali e innesca una cascata di meccanismi di compensazione che possono, tuttavia, peggiorare la situazione emodinamica. L’attivazione del sistema nervoso simpatico e del sistema renina-angiotensina-aldosterone porta alla vasocostrizione e alla ritenzione di liquidi, che aumentano il precarico e il postcarico cardiaco. Allo stesso tempo, le reazioni infiammatorie sistemiche esacerbano la disfunzione microcircolatoria e promuovono la disfunzione degli organi. Senza un intervento tempestivo, si sviluppa un’insufficienza multiorgano che peggiora significativamente la prognosi.

Diagnosi e stratificazione del rischio

La diagnosi di shock cardiogeno si basa sui risultati clinici, di laboratorio e di imaging. Livelli elevati di lattato, compromissione della funzione renale ed epatica e risultati ecocardiografici che mostrano una ridotta funzione di pompa sono fondamentali. Per la stratificazione del rischio si utilizzano modelli come il punteggio CardShock o il punteggio SHOCK, che consentono di stimare una prognosi iniziale. In futuro, l’apprendimento automatico e l’intelligenza artificiale potrebbero consentire una sottotipizzazione più precisa, per adattare ancora meglio le strategie di trattamento alle esigenze individuali dei pazienti.

Approcci terapeutici

Farmacoterapia: la farmacoterapia rimane una componente centrale del trattamento dello shock cardiogeno. I vasopressori come la noradrenalina sono la prima scelta per stabilizzare la pressione sanguigna, mentre gli inotropi come la dobutamina sono utilizzati per migliorare la contrattilità del cuore. Nuove sostanze come il levosimendan o approcci sperimentali con i corpi chetonici potrebbero offrire ulteriori opzioni in futuro. Nonostante i progressi compiuti, molte domande rimangono senza risposta, in particolare per quanto riguarda la combinazione e il dosaggio ottimali di questi farmaci.

Terapia interventistica e meccanica: la terapia interventistica, in particolare la rivascolarizzazione precoce nello shock correlato all’infarto, è stata una pietra miliare del trattamento a partire dallo studio SHOCK. Lo studio CULPRIT-SHOCK ha dimostrato che una strategia centrata sul vaso infartuale con rivascolarizzazione completa ritardata è superiore all’intervento multivasale immediato. I sistemi di supporto meccanico come VA-ECMO e Impella si sono affermati come importanti coadiuvanti nei pazienti con shock avanzato. Tuttavia, la loro efficacia è limitata dal rischio di complicanze come emorragie e lesioni vascolari, e mancano studi randomizzati che dimostrino i benefici a lungo termine.

Gestione della funzione dell’organo

Un aspetto essenziale della terapia è il trattamento delle complicanze associate, come l’insufficienza renale acuta, l’epatite ipossica e l’insufficienza respiratoria. La ventilazione a pressione positiva può essere utile nella congestione polmonare, ma richiede una gestione attenta per evitare di compromettere la funzione ventricolare destra. La terapia sostitutiva renale è spesso necessaria nell’insufficienza renale acuta, mentre le strategie specifiche per prevenire l’ipossia e l’insufficienza d’organo devono essere ulteriormente sviluppate.

Gestione a lungo termine e aspetti psicosociali

I sopravvissuti allo shock cardiogeno spesso devono affrontare conseguenze significative a lungo termine, tra cui limitazioni fisiche, disturbi mentali e un aumento del tasso di riospedalizzazione. I programmi multidisciplinari di assistenza post-ospedaliera che combinano riabilitazione, assistenza psicologica e ottimizzazione medica sono fondamentali per un miglioramento a lungo termine della qualità della vita. Dal punto di vista economico, lo shock cardiogeno rappresenta un onere considerevole, soprattutto a causa dei costi elevati dei sistemi di supporto meccanico e delle cure intensive.

Prospettive future

La ricerca futura si sta concentrando sempre più sullo sviluppo di terapie personalizzate. I progressi nella diagnostica molecolare, la sottotipizzazione basata su biomarcatori e l’intelligenza artificiale potrebbero rivoluzionare il trattamento. Anche le reti regionali di shock e i protocolli di cura standardizzati potrebbero aumentare l’efficienza e la qualità dell’assistenza ai pazienti. A lungo termine, sarà fondamentale sviluppare nuovi approcci farmacologici e meccanici che non solo migliorino il tasso di sopravvivenza, ma anche la qualità della vita a lungo termine.

Fonte:

  1. Lüsebrink E, Binzenhöfer L, Adamo M, et al: Shock cardiogeno. Lancet 2024 Nov 16; 404(10466): 2006-2020. doi: 10.1016/S0140-6736(24)01818-X. PMID: 39550175.

CARDIOVASC 2024; 23(4): 30-31

Publikation
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