Il burnout è un disturbo associato allo stress che, quando è grave, può essere considerato una malattia. Rappresenta uno stato di rischio che può portare a sequele psichiatriche e somatiche se il carico di stress diventa cronico. Nel burnout grave, oltre il 50% delle persone colpite soffre di depressione, in genere di depressione maggiore. Come espressione dell’innesco legato allo stress, è accompagnato da molteplici disturbi vegetativi, da un esaurimento pronunciato e da una resilienza chiaramente ridotta rispetto alle basse richieste. Questo può essere descritto come una componente nevrastenica. Se è presente tale depressione da esaurimento, è indicata una terapia conforme alla linea guida con farmaci antidepressivi.
Alleviare la persona colpita dai principali fattori di stress e perseguire una strategia di trattamento attiva sono le prime misure importanti nel burnout. Poiché il burnout è il risultato di diversi fattori, è consigliabile un approccio terapeutico multimodale. Oltre al trattamento psicofarmacologico, si rivelano molto utili le misure di rilassamento, l’attivazione sportiva a seconda della capacità di recupero, l’attento monitoraggio del livello energetico e le applicazioni corporee. La psicoterapia è una componente indispensabile del trattamento. Soprattutto i metodi cognitivo-comportamentali e multimodali si sono dimostrati efficaci.
Definizione
Il termine burnout deriva dalla psicologia organizzativa e descrive uno stato di esaurimento, legato alla demotivazione e alla riduzione delle prestazioni. Il termine è inteso come espressione di stress prolungato, soprattutto sul posto di lavoro. Esiste un consenso medico sul fatto che il burnout non è un disturbo psichiatrico a sé stante, ma piuttosto una sindrome clinica che può certamente assumere valore di malattia. Per esempio, l’ICD-10 definisce il burnout come “essere esaurito”, mentre lo Z73.0 è “problemi legati alle difficoltà di affrontare la vita” [1]. Secondo la Società tedesca di psichiatria, psicoterapia e neurologia (DGPPN), il burnout è una condizione di rischio che porta a sequele psichiatriche e somatiche se il carico di stress diventa cronico [2] (Fig. 1). A livello somatico, si tratta principalmente di malattie cardiovascolari, sindrome metabolica, diabete e obesità [3,4]. Dal punto di vista psichiatrico, depressione, disturbi d’ansia, acufeni e dipendenze sono in primo piano.
Il burnout è quindi un processo che si presenta inizialmente come espressione di un aumento del carico di stress, che con la progressiva cronicizzazione porta a sintomi permanenti di regolazione disfunzionale dello stress e a un crescente esaurimento, seguiti da una terza fase in cui ai disturbi vegetativi multipli si aggiunge una resilienza significativamente ridotta nel senso di una componente nevrastenica e le caratteristiche cliniche della depressione. In questa terza fase, la domanda non è più “burnout o depressione?”, ma piuttosto “burnout e depressione?”.
burnout
I sintomi del burnout sono molteplici e variabili individualmente. I sintomi principali possono essere generalmente raggruppati in quattro dimensioni (Tab. 1).
Dal punto di vista neurobiologico, il burnout può essere inteso come un’espressione del sovraccarico allostatico, ossia un disturbo di regolazione dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene (asse HPA) [5] causato dallo stress cronico, e come un fallimento della resilienza nervosa centrale in presenza di cambiamenti specifici della regione nei fattori di plasticità neuronale [6]. Nella maggior parte dei casi clinici, c’è una disregolazione del sistema HPA innescata dallo stress permanente [7], causata da un aumento della formazione e del rilascio degli ormoni CRH e AVP secreti dall’ipotalamo [8,9]. Tuttavia, poiché i disturbi regolatori si verificano nelle aree centrali del SNC, i valori periferici di cortisolo sono difficilmente significativi [10].
Dal punto di vista psicosociale, il burnout è visto come espressione di una mancanza di adattamento tra il singolo lavoratore e il suo posto di lavoro. I fattori organizzativi e personali giocano un ruolo chiave in questo senso. Leiter e Maslach [11] riassumono in sei aree i fattori di rischio organizzativo che hanno dimostrato di essere rilevanti per lo sviluppo del burnout.
I fattori di rischio individuali includono, oltre ad una possibile vulnerabilità biologica per quanto riguarda una maggiore reazione allo stress o uno sviluppo depressivo [12], soprattutto una mancanza di autostima e cognizioni e comportamenti che rinforzano lo stress [13–16] (Fig. 2).
Differenziazione tra burnout e depressione
La fase finale del processo di burnout è, nella maggior parte dei casi, lo sviluppo di una depressione clinica. In uno studio trasversale rappresentativo della popolazione lavorativa finlandese, oltre il 50% dei soggetti con burnout grave aveva una depressione concomitante [17]. La forma più comune di depressione era la depressione maggiore, seguita da forme più lievi di depressione. In termini semplificati, lo sviluppo del burnout con i relativi sintomi specifici della fase può essere rappresentato come nella tabella 2.
La depressione non solo si differenzia dal burnout in termini di gravità dei sintomi, ma presenta anche un modello specifico di sintomi tipici della depressione [1]. Questo include la componente affettiva di sconforto, mancanza di interesse e di piacere e, occasionalmente, irritabilità, così come la componente somatica con riduzione o perdita dell’appetito, della libido, dell’energia, dell’impulso, della capacità di concentrarsi e di ricordare e della capacità di dormire. Il risveglio precoce senza riuscire a riaddormentarsi è tipico della depressione (Tab. 3). Questi sintomi devono durare almeno due settimane per una diagnosi di depressione.
La depressione che si verifica nel contesto di un carico di stress cronico sembra essere accompagnata da molteplici sintomi vegetativi e da una ridotta resilienza che persiste a lungo, proprio come il burnout. Questa forma di depressione era già stata descritta da Kielholz con il termine “depressione da esaurimento” [18]. L’esaurimento come sintomo principale e, come nella nevrastenia, l’esaurimento persistente con poco sforzo mentale o fisico sono evidenziati come parte integrante di questa forma di depressione.
Raccomandazioni per la diagnosi di burnout e/o depressione
La diagnosi si basa sull’anamnesi, sul colloquio clinico e sullo stato psicologico. Una diagnosi differenziale approfondita da parte della medicina interna è indispensabile. È consigliabile utilizzare questionari di supporto che descrivano i rispettivi disturbi psichiatrici con affidabilità e validità adeguate. Lo strumento di autovalutazione “Beck Depression Inventory” [19] e gli strumenti di valutazione di terze parti Hamilton Depression Scale [20] e Montgomery-Asberg Depression Scale [21] sono adatti per valutare la depressività o la depressione. La Shirom-Melamed Burnout Measure [22] e il Maslach Burnout Inventory [23] sono adatti per valutare la gravità del burnout.
Nell’anamnesi, è importante registrare i fattori di stress scatenanti e sondare il processo di sviluppo dei sintomi in modo differenziato. È consigliabile chiedere sistematicamente i sintomi classici del burnout (scheda 1) e i sintomi classici della depressione (scheda 3) nel colloquio clinico. Nello stato psicologico, bisogna prestare particolare attenzione allo stato emotivo, alla pulsione, allo stato energetico, alla funzione psicomotoria e al pensiero.
È indispensabile interrogare dettagliatamente il paziente sull’uso di sostanze, in particolare alcol, stimolanti, sedativi o antidolorifici, nonché nicotina, che possono distorcere il quadro clinico e ritardare il decorso. È possibile che si sviluppi una dipendenza secondaria che richiede un’attenzione terapeutica separata.
Strategie terapeutiche
Poiché il burnout è il risultato di diversi fattori scatenanti, anche la terapia deve svolgersi su più livelli [24]. La prima cosa da fare è alleviare la persona dai principali fattori di stress e motivarla a partecipare alla terapia attiva e ad adattare le attività alla sua capacità di recupero. Un semplice time-out non è una strategia terapeutica sufficiente. Se è presente una depressione clinica, è essenziale trattarla con farmaci lege artis e in conformità alle linee guida [25]. È consigliabile richiedere una valutazione psichiatrica specialistica in una fase iniziale.
In base alla genesi del disturbo legata allo stress, si consigliano esercizi di rilassamento e sport adattati alla capacità di prestazione per normalizzare la regolazione dello stress. La terapia corporea e il massaggio non solo favoriscono il rilassamento stimolando il rilascio di ossitocine [26], ma migliorano anche la percezione corporea, solitamente disturbata, delle persone colpite. È proprio la capacità di percepire i segnali e i limiti del corpo e di tenerli in considerazione rispetto al proprio comportamento che è un fattore decisivo per un successo terapeutico sostenibile. Il paziente deve essere istruito a osservare il suo livello energetico soggettivo, anche in relazione alle sue attività, e di conseguenza a sfidare se stesso solo entro i limiti della resilienza determinata. La ripresa o l’aumento dell’attività lavorativa deve sempre essere fatta con un’attenta considerazione della resilienza.
La componente centrale della terapia per la depressione da esaurimento o il burnout è la psicoterapia. Serve a elaborare il processo della malattia, a lavorare sui fattori che scatenano lo stress e a riflettere e correggere le cognizioni e i comportamenti disfunzionali, nonché a creare risorse per migliorare la gestione dello stress e l’equilibrio della vita. Si deve tenere in debita considerazione il contesto lavorativo. Spesso è necessario anche risolvere i conflitti interpersonali e fare luce sulla questione dei valori e degli obiettivi per l’orientamento futuro della vita. Finora sono disponibili dati sugli approcci terapeutici cognitivo-comportamentali, sulle strategie multimodali e, in misura minore, sullo psicodramma e sulla terapia psicologica profonda di gruppo, che si sono dimostrati efficaci (anche se con parametri diversi e con dimensioni di effetto variabili) [27–30]. Il rinvio a uno specialista qualificato in psicoterapia è opportuno per una discussione terapeutica più approfondita.
Barbara Hochstrasser, MD
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