Può essere pericoloso quando un paziente con un dispositivo cardiaco ha bisogno di una risonanza magnetica. Tra l’altro, gli elettrodi possono riscaldarsi, è possibile un reset elettrico e lo stato della batteria rischia di cambiare.
Nella risonanza magnetica, l’energia viene applicata al corpo sotto forma di un forte campo magnetico statico e di impulsi elettromagnetici (impulsi di radiofrequenza). Poi, in termini molto semplificati, si misurano i segnali inviati dal tessuto, ottenendo un’immagine. A seconda del tipo di tessuto, le distribuzioni di magnetizzazione differiscono, a seconda della struttura, della funzione e del metabolismo. Rispetto alla TAC, ad esempio, il contrasto dei tessuti molli è incomparabilmente più elevato. Le intensità di campo magnetico raggiunte nella risonanza magnetica (campo magnetico statico) sono di 1,5-3 Tesla. Per fare un paragone: il campo magnetico terrestre ha un’intensità di circa 50 microtesla, un magnete domestico è nell’ordine dei millitesla.
Si può quindi immaginare la forza sui dispositivi impiantabili non appena ci si trova in prossimità di una risonanza magnetica. Il problema principale non è nemmeno il campo magnetico statico, che può portare allo spostamento del dispositivo o alla dislocazione dell’elettrodo, o il campo magnetico a gradiente, che potrebbe innescare la cattura ventricolare o atriale con i corrispondenti disturbi del ritmo attraverso l’induzione di corrente nell’elettrodo, ma soprattutto l’impulso di radiofrequenza. Questo può, ad esempio, riscaldare gli elettrodi, con relativo danno termico, oppure causare un reset elettrico a causa di un’elevata interferenza elettromagnetica. Anche lo stato della batteria può cambiare o può verificarsi una sovrasensibilità con l’inibizione della stimolazione e l’erogazione di uno shock inadeguato da parte dell’ICD.
Il danno termico causato da una risonanza magnetica o da una radiofrequenza è dovuto principalmente all’aumento della temperatura sulla punta dell’elettrodo. Gli studi hanno già dimostrato che i dispositivi da 0,5 Tesla si riscaldano fino a circa 24°C [1], e quelli da 1,5 Tesla addirittura fino a 63°C [2]. Se gli elettrodi collegati al pacemaker sono lunghi circa 40-60 cm, cioè nel caso normale, l’aumento della temperatura non è drammatico, ma se gli elettrodi sono liberi nel tessuto, la temperatura aumenta in modo significativo, soprattutto sulla punta [3].
Il fatto è che in tutta Europa vengono installati sempre più sistemi di risonanza magnetica, compresi quelli con una potenza sempre maggiore di Tesla. Allo stesso tempo, il numero di primi impianti di pacemaker e ICD è in aumento, quindi la domanda di un esame RM in un paziente con CIED sta diventando sempre più frequente. Si stima che il 50-75% di questi pazienti avrà un’indicazione per la risonanza magnetica durante la vita del dispositivo. Cosa fare?
Sistemi pronti per la risonanza magnetica
Come possibile soluzione al problema, da qualche anno esistono pacemaker e successivamente anche ICD compatibili con la risonanza magnetica. In senso stretto, si parla di “sistemi condizionati alla risonanza magnetica”, in quanto possono esistere in un ambiente di risonanza magnetica solo in determinate condizioni, ad esempio solo con dispositivi da 1,5 Tesla o con l’esclusione di una risonanza magnetica toracica (risonanza magnetica della colonna vertebrale cranica e lombare). Un elenco di dispositivi idonei alla risonanza magnetica con le relative condizioni e limitazioni è disponibile sul sito www.pacemaker.ch. Naturalmente, la batteria e l’elettrodo devono essere compatibili con la risonanza magnetica.
E gli altri? Il registro MagnaSafe
I dati del cosiddetto registro MagnaSafe – pubblicati quest’anno [4] – mostrano: In condizioni ben definite, un esame di risonanza magnetica funziona anche con i restanti dispositivi non specificamente progettati per l’idoneità alla risonanza magnetica. Nello studio, è stato eseguito un totale di 1000 scansioni MRI (1,5 Tesla) nei pazienti con pacemaker e 500 nei pazienti con ICD. L’impianto aggregato doveva essere avvenuto dopo il 2001. I criteri di esclusione sono illustrati nella panoramica 1. Se esiste un’indicazione corrispondente, bisogna seguirla.
Il risultato fondamentale dello studio: l’imaging con risonanza magnetica nei pazienti con sistemi “non condizionati” sembra essere abbastanza sicuro, a condizione che vengano seguiti i criteri di inclusione ed esclusione e un flusso di lavoro strutturato per il controllo/programmazione del dispositivo prima e dopo la risonanza magnetica. In dettaglio:
- Non ci sono stati decessi, aritmie ventricolari, guasti agli elettrodi o all’acquisizione durante l’esame RM.
- Sei pazienti con fibrillazione/flutter atriale durante o immediatamente dopo la risonanza magnetica (cinque di loro con anamnesi rilevante).
- Sei reset elettrici parziali (informazioni sul paziente/elettrodi sul dispositivo cancellati, parzialmente in modalità di reset, ecc.)
- Un ICD non poteva più essere interrogato e quindi doveva essere sostituito in caso di emergenza. In questo caso, tuttavia, si è dimenticato di somministrare la terapia antitachicardica prima della scansione (violazione del protocollo). Durante la scansione, la macchina ha rilevato erroneamente una fibrillazione ventricolare, non riuscendo a caricare il condensatore nella risonanza magnetica. L’unità aveva bisogno di un reset del sistema da parte dell’azienda (ma a quel punto, naturalmente, non si trovava più nel paziente).
Dichiarazione di consenso
La US Heart Rhythm Society ha pubblicato una dichiarazione di consenso sull’argomento un po’ più tardi nel corso dell’anno [5]. Questo afferma che la risonanza magnetica per i dispositivi non condizionali è considerata ragionevole a condizione che sia chiaramente l’indagine migliore in questa situazione, che non ci siano elettrocateteri fratturati, epicardici o liberi e, soprattutto, che venga seguito un protocollo istituzionalizzato con uno specialista responsabile in risonanza magnetica e dispositivi.
Secondo il Dr. Zbinden, la procedura standardizzata (che sia adatta alla risonanza magnetica o meno) comprende il coordinamento tra la consulenza sul dispositivo e il reparto di radiologia per l’interrogazione e la programmazione del dispositivo prima e dopo la risonanza magnetica, ossia la riprogrammazione in modalità asincrona (o “off” se il ritmo proprio del paziente è sufficiente) e, nel caso degli ICD, la disattivazione del rilevamento della tachicardia prima dell’esame e la riprogrammazione dopo. Alcuni dispositivi lo offriranno automaticamente in futuro: Si programma la modalità di rilevamento della risonanza magnetica, ad esempio, da 48 ore a 14 giorni prima dell’esame e il dispositivo passa automaticamente alla modalità asincrona durante la scansione e poi torna indietro.
Se l’apparecchiatura non è adatta, è sempre indicata una discussione critica dell’indicazione alla risonanza magnetica con il radiologo e la firma di un modulo di consenso da parte del paziente.
A proposito: se esiste una chiara indicazione di risonanza magnetica, l’esame può essere eseguito anche direttamente dopo l’impianto di un sistema “non condizionale” (classe IIa), secondo la linea guida americana [5].
Fonte: Aggiornamento cardiologico, 17-18 novembre 2017, Zurigo
Letteratura:
- Sommer T, et al: Imaging a risonanza magnetica e pacemaker cardiaci: valutazione in vitro e studi in vivo in 51 pazienti a 0,5 T. Radiologia 2000 giugno; 215(3): 869-879.
- Achenbach S, et al: Effetti della risonanza magnetica su pacemaker ed elettrodi cardiaci. Am Heart J 1997 Sep; 134(3): 467-473.
- Langman DA, et al: Riscaldamento della punta dell’elettrocatetere del pacemaker in elettrocateteri abbandonati e collegati al pacemaker con la risonanza magnetica a 1,5 Tesla. J Magn Reson Imaging 2011 Feb; 33(2): 426-431.
- Russo RJ, et al: Valutazione dei rischi associati alla risonanza magnetica nei pazienti con pacemaker o defibrillatore. N Engl J Med 2017 Feb 23; 376(8): 755-764.
- Indik JH, et al: Dichiarazione di consenso degli esperti HRS del 2017 sulla risonanza magnetica e l’esposizione alle radiazioni nei pazienti con dispositivi elettronici impiantabili cardiovascolari. Ritmo cardiaco 2017; 14(7): e97-e153.
CARDIOVASC 2017; 16(6): 31-32