La diagnosi della malattia di Parkinson, che è stata descritta per la prima volta all’inizio del XIX secolo, è difficile, soprattutto nelle fasi iniziali, perché non tutti i sintomi sono presenti o altre entità si sovrappongono ai sintomi. L’esclusione di altre cause di parkinsonismo, come una sindrome parkinsoniana secondaria di eziologia tossica, vascolare o metabolica o uno pseudoparkinsonismo dovuto all’idrocefalo a pressione normale, è quindi ancora più importante. In questo caso, i metodi di imaging morfologico e funzionale possono fornire servizi preziosi. Oltre alla procedura di esclusione, la diagnosi vera e propria di “malattia di Parkinson” può essere supportata anche da analisi di classificazione specifiche per le singole manifestazioni.
L’inizio della terapia farmacologica deve essere determinato individualmente, in base al livello personale di sofferenza del paziente. Sebbene la maggior parte dei farmaci antiparkinsoniani sia efficace, la levodopa è preferibile nei parkinsonismi e nelle persone anziane e polimorfe. Le fluttuazioni motorie possono anche essere trattate inizialmente con una somministrazione più frequente di levodopa o di preparati ritardanti. Quando si somministrano farmaci aggiuntivi come gli inibitori della COMT, gli agonisti della dopamina o gli inibitori della MAO-B, si raccomanda una leggera riduzione della levodopa per evitare un aumento della discinesia. Nei casi di fluttuazioni gravi e di malattia avanzata, si può prendere in considerazione il trattamento con pompe o metodi invasivi, dopo aver esaurito la terapia convenzionale.
Anche i sintomi non motori aumentano nel corso della malattia. Hanno un impatto considerevole sulla qualità di vita del paziente e talvolta sono addirittura peggiorate dai farmaci antiparkinsoniani. La corretta regolazione dei farmaci è fondamentale in questo caso, perché alcuni dei sintomi non motori più comuni diventano di conseguenza trattabili. La riduzione dei farmaci responsabili è particolarmente consigliata per i disturbi del controllo degli impulsi e le psicosi. L’apatia, i disturbi del sonno e la depressione, ad esempio, rispondono alla terapia dopaminergica.
Infine, ma non meno importante, la stimolazione cerebrale profonda, che funziona applicando impulsi ad alta frequenza a specifiche aree cerebrali, offre un modo per ridurre i sintomi non motori, come il dolore sensibile alla levodopa. Inoltre, ha dimostrato di essere un metodo terapeutico adatto per le fluttuazioni.
Risulta che le possibilità di diagnosticare e trattare la malattia di Parkinson hanno fatto grandi progressi dalla sua scoperta, avvenuta ben 200 anni fa. Tuttavia, questa malattia rimarrà una grande sfida per il medico curante in futuro, non da ultimo perché ha una prevalenza molto elevata: Insieme alla malattia di Alzheimer, è una delle malattie neurodegenerative più comuni.
Un caloroso saluto dai colleghi
Prof. Philippe Lyrer, MD
Prof. Dr. med. Erich Seifritz