La complessità della flora intestinale umana è sempre meglio compresa. L’intestino sembra addirittura avere un’influenza su chi risponde all’immunoterapia del cancro e chi no.
Gli inibitori del checkpoint, che attivano il sistema immunitario, hanno un grande successo in alcuni pazienti. La loro applicazione si basa sulla premessa che il tumore viene riconosciuto dal sistema immunitario, ma che questa risposta immunitaria viene bloccata, almeno in parte, dai checkpoint (ad esempio PD-1/PDL-1).
Per altri pazienti, invece, la risposta non arriva. In questo caso sono attivi altri meccanismi immunosoppressivi o il sistema immunitario semplicemente non riconosce i tumori – quindi non è possibile “sbloccare” la risposta immunitaria? Attualmente è in corso una febbrile ricerca di metodi di test soddisfacenti che prevedano in modo affidabile la risposta al blocco PD-1/PD-L1. Tre studi recenti indicano il ruolo dell’intestino in questo contesto.
Studio 1 – Gli antibiotici peggiorano la risposta
Un team francese [1] ha scoperto che la resistenza primaria agli inibitori del checkpoint è dovuta a una specifica composizione del microbioma intestinale. Quando le feci dei rispondenti sono state trapiantate in topi privi di germi o trattati con antibiotici, l’effetto antitumorale del blocco PD-1 è migliorato. Al contrario, non è successo nulla quando sono state utilizzate le feci dei non rispondenti. Gli studi sulle feci umane di pazienti affetti da cancro al polmone e al rene al momento della diagnosi hanno mostrato una correlazione tra la frequente presenza del batterio A. muciniphila e una risposta clinica successiva. L’integrazione orale con questo batterio è stata in grado di “compensare” un trapianto di feci fallito (cioè le feci dei non rispondenti), cioè di indurre nuovamente l’efficacia del blocco PD-1 nei topi.
L’effetto si osserva anche negli esseri umani: Le persone che avevano assunto antibiotici per trattare le infezioni in aggiunta alla terapia antitumorale hanno risposto peggio all’inibizione di PD-1 rispetto alla coorte complessiva (la loro sopravvivenza libera da progressione e complessiva è stata significativamente più breve).
Studio 2 – Differenze significative nell’intestino umano
Un team statunitense [2] ha mostrato differenze significative nella diversità e nella composizione del microbioma intestinale di chi risponde e di chi non risponde in 112 pazienti affetti da melanoma trattati con l’immunoterapia PD-1. Nel totale di 30 contro 13 campioni di feci, è stata riscontrata una maggiore diversità e una maggiore presenza di batteri Clostridiales come le Ruminococcaceae. I pazienti con un microbioma intestinale “favorevole” presentavano una migliore immunità sistemica e antitumorale (forte correlazione positiva tra le cellule T killer nel tumore e la presenza dei batteri citati). Lo stesso vale per i topi privi di germi che hanno ricevuto il trapianto di feci dai rispondenti. Rispetto ai pazienti con diversità intermedia e bassa, la sopravvivenza libera da progressione è stata più lunga con una diversità elevata.
Studio 3 – Associazione tra microbioma e risposta
Infine, un altro team statunitense [3] ha dimostrato un’associazione significativa tra la composizione dell’intestino commensale prima dell’immunoterapia e la successiva risposta clinica in 42 pazienti con melanoma metastatico. Nei rispondenti alla terapia PD-1 o CTLA-4, le specie batteriche Bifidobacterium longum, Collinsella aerofaciens ed Enterococcus faecium, tra le altre, erano comuni, mentre nei non rispondenti dominavano Ruminococcus obeum e Roseburia intestinalis.
I ricercatori hanno assegnato dei punti per la flora intestinale (“favorevole”/”non favorevole”); un rapporto superiore a 1,5 era correlato a una risposta.
La conoscenza può essere utilizzata?
Una flora intestinale “sana” sembra aiutare i pazienti nella lotta contro il cancro. Una composizione intestinale poco equilibrata, invece, influenza negativamente l’attività delle cellule immunitarie e potrebbe impedire una risposta alla terapia. Ci sono molte prove che suggeriscono che il microbioma intestinale dovrebbe essere preso in considerazione quando si valuta un intervento terapeutico, poiché esercita una forte influenza sul sistema immunitario.
Tutto è ancora molto sperimentale, dicono alcuni. Proprio così. Anche l’intestino è solo uno dei tanti motivi possibili per una mancata risposta. Numerosi altri biomarcatori sono in fase di ricerca e sono già notevolmente avanzati nel loro uso terapeutico (ad esempio, i livelli di espressione di PD-L1 nel tumore). Anche l’Università di Zurigo ha riferito di possibili nuovi biomarcatori nel sangue all’inizio dell’anno [4]. Se sarà mai possibile utilizzare l’intestino come biomarcatore rimane discutibile a causa dell’immensa complessità del microbioma. I tre studi indicano anche che diversi batteri svolgono un ruolo nella risposta. Gli sforzi di standardizzazione si riveleranno probabilmente difficili; molti processi sono semplicemente ancora poco chiari.
Tuttavia, l’attività di ricerca in quest’area è elevata e i tre nuovi studi toccano una corda che è già stata mantenuta per qualche tempo dai rapporti scientifici. E affrontano una questione clinica importante, quella della manipolazione. I non rispondenti possono essere ‘convertiti’ in rispondenti? Un trapianto di feci come negli studi sopra citati sarebbe concepibile, ma può anche essere più semplice. Il microbioma umano è certamente un fattore di rischio modificabile. Anche una dieta o l’assunzione di anti/robiotici possono fare una differenza sostanziale. I primi studi clinici sono in preparazione.
Un tentativo di combinare, ad esempio, i bifidobatteri in forma di capsule e gli inibitori PD-1 per osservare la risposta dopo la colonizzazione con i batteri “benefici” sembra abbastanza fattibile per il momento. In futuro, potrebbe essere possibile assemblare altre comunità microbiche sintetiche per ottimizzare la risposta dei pazienti all’immunoterapia.
Letteratura:
- Routy B, et al: Science 2018; 359(6371): 91-97.
- Gopalakrishnan V, et al: Science 2018; 359(6371): 97-103.
- Matson V, et al: Science 2018; 359(6371): 104-108.
- Krieg C, et al.: Nature Medicine 2018. DOI: 10.1038/nm.4466.
InFo ONCOLOGIA ED EMATOLOGIA 2018; 6(2): 5