Gli americani stanno ulteriormente declassando la definizione di ipertensione, da ≥140/90 mmHg a ≥130/80 mmHg. La nuova linea guida è stata molto discussa al Congresso AHA.
Le nuove linee guida provengono dalle due principali società cardiologiche statunitensi, l’AHA e l’ACC [1]. Come prima, il limite di <120/<80 mmHg è definito normale. Se i valori sistolici – con gli stessi valori diastolici – sono superiori a questo valore, ossia 120-129, secondo le nuove linee guida, si parla già di pressione arteriosa “elevata”, mentre le vecchie linee guida statunitensi parlavano di “pre-ipertensione” se anche il valore diastolico era di 80 mmHg o più. I valori di 130 (sist.) o 80 mmHg (diast.) e oltre costituiscono ora l’ipertensione di grado 1 (in precedenza “pre-ipertensione”), e al limite “abituale” di 140/90 mmHg ora già l’ipertensione di grado 2. Le persone i cui valori sistolici e diastolici si trovano in due categorie diverse appartengono al gruppo più alto. È la prima volta dal 2003 che la definizione di ipertensione viene modificata.
Nella prevenzione primaria dei pazienti con un rischio calcolato di ASCVD a 10 anni di almeno il 10%, 130/80 mmHg è ora considerata la soglia per il trattamento farmacologico. Gli autori raccomandano le cosiddette equazioni ACC/AHA Pooled Cohort come calcolatore di rischio [2]. Questo è stato convalidato solo per la popolazione statunitense di età compresa tra 45 e 79 anni e senza terapia concomitante con statine. Per i restanti pazienti, i valori originali di ≥140/90 mmHg rimangono validi come soglia per la terapia farmacologica. Entrambi sono raccomandazioni di Classe I. Questo è anche in contrasto con le linee guida precedenti, le cosiddette JNC 7 (Seventh Report of the Joint National Committee on Prevention, Detection, Evaluation, and Treatment of High Blood Pressure) [3]. Lì, il limite per gli antipertensivi nella popolazione generale era 140/90 mmHg. I valori di ≥130/80 mmHg sono stati considerati necessari per la terapia solo in presenza di diabete o malattia renale cronica.
Gli autori sostengono che il rischio cardiovascolare è già significativamente aumentato con livelli superiori al limite appena definito. L’aumento del rischio nell’ipertensione di stadio 2 (ridefinita) è noto da molto tempo, ma ora ci sono sempre più dati che suggeriscono un continuum: già nella “pressione sanguigna elevata” (ridefinita) e nell’ipertensione di stadio 1 (ridefinita), ci sono molti elementi che suggeriscono un aumento sensibile del rischio. La base per la categorizzazione sono gli studi clinici osservazionali e randomizzati, nonché le corrispondenti meta-analisi che si basano su un hazard ratio di
- tra 1,1 e 1,5 con valori di 120-129/80-84 mmHg vs. <120/80 mmHg
- e tra 1,5 e 2,0 per i valori di 130-139/85-89 mmHg rispetto a <120/80 mmHg
uscire. Alla luce di questo considerevole aumento del rischio, il termine “pre-ipertensione” è fuorviante (perché lo banalizza) e deve essere abbandonato. La critica implicita ai termini delle linee guida europee, che descrivono ancora una pressione sanguigna da 120 a 139 e da 80 a 89 come “normale”/”alta normalità”, risuona già qui. Quanto dureranno è discutibile.
Patologizzazione di un’intera società?
Con l’introduzione delle nuove linee guida, una riduzione al di sotto di 130/80 mmHg diventerà anche il nuovo obiettivo terapeutico per molti pazienti già in trattamento, ossia quelli con un rischio di ASCVD a 10 anni di almeno il 10% o con una malattia cardiovascolare già nota (raccomandazione di classe I). Per tutti gli altri pazienti ipertesi, sembra ragionevole anche una riduzione al di sotto di questi valori, si legge nelle nuove linee guida (classe di raccomandazione IIb). Le attuali linee guida, quindi, non solo patologizzano in un colpo solo gran parte della società occidentale, ma dichiarano anche inefficace (o più precisamente: insufficientemente efficace) la terapia attuale di molti pazienti affetti da ipertensione. La stessa pubblicazione menziona che circa la metà della popolazione statunitense ha un’ipertensione di grado 1, secondo la definizione attuale. Per un confronto: con la soglia originale, era già un terzo. I dati provengono da uno studio complementare [4], progettato per esaminare il potenziale impatto delle nuove linee guida.
Anche con il nuovo limite, le misure relative allo stile di vita, come la riduzione del peso, la dieta sana, la restrizione dell’assunzione di sodio/aumento del potassio, l’esercizio fisico o il consumo moderato di alcol, rimangono i primi pilastri importanti della gestione dell’ipertensione, sostengono gli autori. Questo riguarda una grande percentuale di persone definite di recente come ipertese. Di conseguenza, è prevedibile solo un leggero aumento delle prescrizioni di farmaci in questo settore (raccomandato in precedenza al 34% e ora al 36%) [4]. Inoltre, le misurazioni della pressione sanguigna in una sola visita sono ancora troppo spesso prese come base per il calcolo della prevalenza. Questo sovrastima la prevalenza dell’ipertensione. Secondo queste e precedenti linee guida, sono necessarie almeno due misurazioni in almeno due visite. Non è chiaro in che misura questa regola standard venga rispettata nella pratica e nella prescrizione.
La definizione di una pressione sanguigna sana rimane la stessa, continuano gli americani. Mentre in passato la cosiddetta “pre-ipertensione” (120-139/80-89) doveva essere un segnale d’allarme per i medici che dovevano prestare particolare attenzione alla pressione sanguigna, oggi si tratta già di una pressione sistolica “elevata”, pari a 120-129.
Tuttavia, gli autori fanno una concessione ai loro critici: si può infatti ipotizzare che una percentuale considerevole di coloro che già ricevono un trattamento dovrà essere trattata in modo più aggressivo per raggiungere i valori target. Il 53% sarebbe appena al di sopra di questo valore, mentre con la definizione originale era del 39% [4].
Le opinioni differiscono
In Europa, i vecchi valori di pressione sanguigna rimangono in vigore per il momento. Tuttavia, la “corsa all’avanguardia” americana sta facendo discutere molto anche qui, con opinioni piuttosto controverse. Quando c’è una diagnosi, una terapia è sempre ovvia, e poiché le misure di stile di vita citate più volte sono tutt’altro che semplici misure di “benessere”, ma per molti richiedono una notevole disciplina e comportano restrizioni nella vita quotidiana, il desiderio di una soluzione presumibilmente semplice con i farmaci sarà rapidamente nella pratica quotidiana.
Nonostante tutto ciò, è probabile che presto anche in questo Paese si attendano valori target più bassi; l’ESC sta attualmente lavorando intensamente a una nuova linea guida che sostituisca quella precedente del 2013 [5]. Si prevede che ciò avvenga nell’estate del 2018. Quindi rimane eccitante.
Infine, va notato che le nuove linee guida americane non solo sono in contrasto con le attuali linee guida europee, ma per certi versi rappresentano anche un allontanamento dal JNC 8 [6], il controverso successore del JNC 7, che andava esattamente nella direzione opposta, ossia verso un autodefinito ‘rilassamento’ dei limiti. Secondo il JNC-8, i pazienti di età superiore ai 60 anni dovevano essere trattati solo a partire da 150/90 mmHg e abbassati a questi valori target. Sebbene questo non significhi che tutti i pazienti che attualmente raggiungono valori più bassi debbano essere riadattati a valori più alti, ma piuttosto che anche una riduzione al di sotto di 150 porterebbe un buon beneficio, sembra difficile da conciliare con il tenore di base delle nuove linee guida. In questo caso, il limite di 130 mmHg si applica chiaramente anche alle persone anziane, più precisamente agli ipertesi ambulatoriali non istituzionalizzati e con partecipazione sociale di 65 anni o più (raccomandazione di Classe I). Nei casi di elevato carico di comorbilità e di aspettativa di vita limitata, sarebbe preferibile un approccio individuale (classe IIa).
La discussione è quindi appena iniziata e probabilmente continuerà ad occupare intensamente il mondo della cardiologia in futuro. La Tabella 1 mostra una panoramica delle linee guida corrispondenti degli ultimi anni.
Fonte: Sessioni scientifiche dell’American Heart Association (AHA) 2017, 11-15 novembre 2017, Anaheim
Letteratura:
- Whelton PK, et al: Linea guida ACC/AHA/AAPA/ABC/ACPM/AGS/APhA/ASH/ASPC/NMA/PCNA 2017 per la prevenzione, la rilevazione, la valutazione e la gestione dell’ipertensione arteriosa negli adulti. Hypertension 2017 Nov 13. DOI: 10.1161/HYP.0000000065 [Epub ahead of print].
- Equazioni di coorte in pool ACC/AHA. http://tools.acc.org/ASCVD-Risk-Estimator/
- Chobanian AV, et al: Settimo rapporto del Comitato Nazionale Congiunto per la prevenzione, l’individuazione, la valutazione e il trattamento dell’ipertensione. Ipertensione 2003; 42(6): 1206-1252.
- Muntner P, et al: Impatto potenziale sulla popolazione statunitense della linea guida 2017 dell’American College of Cardiology/American Heart Association sull’ipertensione. Circulation 2017 Nov 13. DOI: 10.1161/CIRCULATIONAHA.117.032582 [Epub ahead of Print].
- Mancia G, et al.: Linee guida ESH/ESC 2013 per la gestione dell’ipertensione arteriosa: la Task Force per la gestione dell’ipertensione arteriosa della Società Europea di Ipertensione (ESH) e della Società Europea di Cardiologia (ESC). Journal of Hypertension 2013; 31(7): 1281-1357.
- James PA, et al: Linea guida 2014 basata sull’evidenza per la gestione dell’ipertensione arteriosa negli adulti – Rapporto dei membri del gruppo di esperti nominati per l’ottavo Comitato Nazionale Congiunto (JNC 8). JAMA 2014; 311(5): 507-520.
CARDIOVASC 2017; 16(6): 28-30