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  • Congresso EMUC 2014

Sorveglianza attiva e privazione di androgeni nel cancro alla prostata

    • Oncologia
    • Rapporti del Congresso
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    • Urologia
  • 5 minute read

Al Congresso EMUC di Lisbona, due eventi hanno evidenziato le strategie diagnostiche e terapeutiche per il cancro alla prostata. Da un lato, si trattava dei vantaggi e degli effetti della sorveglianza attiva, dall’altro del confronto tra la deprivazione di androgeni intermittente e continua. In una sessione di “pro e contro”, si è discusso se il principio “meno farmaci ci sono, meglio è” sia applicabile anche in questo caso.

(ag) La Prof.ssa Monique Roobol, MD, Rotterdam, ha fatto riferimento ai due volti del cancro alla prostata: da un lato, la malattia può essere indolente, lenta e piuttosto innocua; dall’altro, può essere molto aggressiva, dolorosa e fatale. Soprattutto la forma indolente è comune nei pazienti anziani. Sebbene il test del PSA non sia specifico per il cancro alla prostata (aggressivo), gli uomini con valori al di fuori della norma sono spesso sottoposti a ulteriori esami diagnostici, che a loro volta possono portare a un sovra-trattamento. Tuttavia, la storia naturale della malattia presenta un continuum di rischi che deve essere analizzato con attenzione e ponderazione. Secondo i calcoli epidemiologici, il 22-42% dei casi è sovradiagnosticato.

La sorveglianza attiva (SA) non può prevenire la sovradiagnosi, ma può ridurre i danni associati (soprattutto il sovratrattamento). “Bisogna separare in modo più rigoroso la diagnosi dal trattamento, cioè bisogna definire con precisione quando diventa pericoloso e quindi necessario intervenire”. L’AS è quindi una soluzione temporanea ma indispensabile per affrontare i problemi di sovradiagnosi e sovratrattamento. Naturalmente, poiché i protocolli di AS si basano su ripetute biopsie prostatiche transrettali, non sono privi di rischi.

Quali esami fanno parte dell’AS?

Attualmente sono in corso studi che esaminano vari strumenti potenziali per l’AS. Vengono discussi i risultati della genetica e i vari potenziali biomarcatori. Ci si chiede, ad esempio, quale valore predittivo abbiano l’età, l’etnia o l’anamnesi familiare, o se le variabili genetiche (T2-ERG, PCA3, ecc.) giochino un ruolo significativo. Questo dimostra che ancora solo la biopsia e i derivati del PSA possono predire in modo coerente il rischio di progressione. “Anche gli strumenti di imaging come la risonanza magnetica/ultrasuoni non possono ancora sostituire la biopsia prostatica ripetuta”, afferma.

La sicurezza del SA è difficile da definire

Sarebbe anche interessante chiedere in che misura l’AS influisce sulla qualità della vita in termini concreti. Tuttavia, i dati finora disponibili non sono randomizzati e spesso mostrano un pregiudizio di selezione. Mostrano livelli di qualità di vita paragonabili a quelli ottenuti dopo una terapia radicale. Il Prof. Robool ha sottolineato l’importanza di raccogliere dati prospettici a lungo termine sulla SA. “Considerando il naturale decorso lungo del cancro alla prostata in fase iniziale, gli esiti a medio termine dell’AS diventano ancora più importanti. Quindi non è sufficiente misurare la mortalità come risultato di sicurezza della SA”. I modelli predittivi potrebbero essere utilizzati per prevedere quali pazienti sono psicosocialmente vulnerabili alla SA (con stress, ansia e depressione). In definitiva, però, il sondaggio della qualità della vita come risultato importante della SA deve essere meglio standardizzato.
Sono inoltre urgentemente necessarie linee guida specifiche basate su prove di efficacia sulla SA.

Terapia: deprivazione di androgeni intermittente o continua?

Al congresso è stata discussa anche la questione se la deprivazione di androgeni continua (CAD) o intermittente (IAD) mostri risultati migliori. Maha Hussain, MD, Michigan, ha esaminato la situazione dello studio: “Molti studi di fase III che confrontano la IAD con la CAD presentano purtroppo limitazioni rilevanti: Le popolazioni di pazienti sono spesso molto miste e i campioni sono relativamente piccoli. I piani di trattamento differiscono e gli endpoint (ad esempio, il tempo alla progressione) non sono definiti in modo uniforme. Inoltre, la maggior parte dei lavori ha un follow-up troppo breve”. Hussain ha concluso che la IAD non ha ancora dimostrato la superiorità nella sopravvivenza globale in nessuno studio randomizzato. La non-inferiorità – se fosse stata definita statisticamente – non poteva essere dimostrata affatto o, secondo l’oratore, solo con limiti di HR troppo alti: Mentre SWOG9346 [1] ha superato la soglia HR definita di 1,2, NCIC PR7 [2] ha riscontrato la non inferiorità, ma solo con una soglia più alta di 1,25 (che, secondo il relatore, dovrebbe essere messa in discussione). In termini concreti, ciò significa che un aumento del 25 percento del rischio di mortalità utilizzando la IAD invece della CAD è ancora tollerabile. Anche i risultati per l’endpoint “tempo alla progressione” sono contrastanti e incoerenti. “Dal momento che anche i vantaggi in termini di qualità della vita non sono molto convincenti, bisogna chiedersi quale importanza abbia la variante intermittente”, ha spiegato.

Nel complesso, il ruolo della CAD nel contesto adiuvante è indiscusso. Con la privazione degli androgeni e la terapia locale, la sopravvivenza di questi pazienti può essere decisamente prolungata.

Nei pazienti con recidiva non metastatica del PSA, nessuno dei due approcci ha mostrato finora un beneficio significativo (sebbene la IAD sia discussa come opzione).
“Per le metastasi, invece, la CAD sembra avere la tendenza a offrire un vantaggio di sopravvivenza. Se si ricorre ancora alla IAD per la qualità di vita leggermente migliore, allora solo dopo aver informato completamente il paziente e aver tenuto conto del risultato di sopravvivenza più scarso”, dice Hussain.  

È tutta una questione di interpretazione?

Questa visione critica è stata contraddetta dal Prof. Per-Anders Abrahamsson, MD, Lund. A suo avviso, i dati esistenti devono essere interpretati in modo esattamente opposto, ossia positivo: per alcuni pazienti selezionati, la IAD rappresenta un’alternativa equivalente alla CAD. “Se esaminiamo la letteratura citata dal precedente oratore, non troviamo alcuna prova evidente della superiorità o dell’inferiorità della IAD rispetto alla CAD (si applica alla sopravvivenza [1–3] e al tempo alla progressione [4,5]). Sebbene l’equivalenza delle varianti non sia ancora stata sufficientemente dimostrata statisticamente, sembra plausibile alla luce dei dati disponibili finora, almeno in pazienti selezionati”, afferma il Prof. Abrahamsson. “La IAD non sarà mai una terapia da prendere in considerazione in tutti i pazienti, certamente non in quelli con un carico tumorale elevato. Anche per questo motivo, le popolazioni altamente miste di molti studi sono problematiche”. Tuttavia, la variante intermittente è meglio tollerata e forse – anche se gli studi dovrebbero prima dimostrarlo – previene alcune complicazioni a lungo termine dell’AD [6]. Le linee guida europee (EAU) sottolineano inoltre che lo status di IAS non può più essere considerato puramente investigativo. Entrambi i relatori hanno convenuto che gli sforzi di ricerca devono essere intensificati se si vogliono fare affermazioni più concrete.

Fonte:6° Meeting multidisciplinare europeo sui tumori urologici, 13-16 novembre 2014, Lisbona.

Letteratura:

  1. Hussain M, et al: Privazione di androgeni intermittente rispetto a quella continua nel cancro alla prostata. N Engl J Med 2013; 368: 1314-1325.
  2. Crook JM, et al: Soppressione androgenica intermittente per l’aumento del livello di PSA dopo la radioterapia. N Engl J Med 6 settembre 2012; 367(10): 895-903.
  3. Mottet N, et al: Terapia ormonale intermittente nel trattamento del cancro alla prostata metastatico: uno studio randomizzato. BJU Int 2012 Nov; 110(9): 1262-1269.
  4. Calais da Silva FE, et al: Deprivazione androgenica intermittente per il carcinoma prostatico localmente avanzato e metastatico: risultati di uno studio randomizzato di fase 3 del South European Uroncological Group. Eur Urol 2009 Jun; 55(6): 1269-1277.
  5. Salonen AJ, et al: Il FinnProstate Study VII: deprivazione di androgeni intermittente rispetto a quella continua nei pazienti con cancro alla prostata avanzato. J Urol 2012 Jun; 187(6): 2074-2081.
  6. Sciarra A, et al: Terapia di deprivazione androgenica intermittente nel cancro della prostata: una revisione critica incentrata sugli studi di fase 3. Urologia Europea 2013; 64(1): 722-730.
     

InFo ONCOLOGIA & EMATOLOGIA 2014; 2(10): 22-23

Autoren
  • Andreas Grossmann
Publikation
  • InFo ONKOLOGIE & HÄMATOLOGIE
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